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Shanghai

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« Vorrei tornare in Asia », mi diceva Blasco Ibañez, appena tornato dalla sua crociera intorno al mondo, «soltanto per scrivere il romanzo di Shanghai. »

All'annuncio dello Yangtze che sbocca assai prima che le coste siano in vista, inondando anche il mare di un limo rosa, diluendo nel Pacifico tutta quella terra strappata alle viscere della Cina, prevedo una grande spettacolo. È buio, scorgo delle luci, ma è soprattutto dal rumore di quell' acqua più pesante, viscosa, di quel fango di genesi, che indovino Shanghai. Leghe e leghe di magazzini che hanno tutti i nomi della terra, pieni di mercanzie internazionali. Navi da carico in banchina. Altre, ancorate in mezzo al fiume, circondate da zattere, bettoline. Coolie rossi e neri, soprattutto donne, dal petto appiattito, imbarcano carbone in ceste, susseguendosi come tazze di una draga. Il fiume è ingombro di un coacervo di motovedette, di giunche, di piroscafi, dell'intera flottiglia delle compagnie fluviali inglesi boicottate all'interno che è venuta a rifugiarsi qui. Poi, le cannoniere bianche, gli incrociatori smuseruolati, con i pezzi puntati sulle Concessioni. La sera, Shanghai è divisa in due da una cometa luminosa: è il viale Joffre che, da nord, a sud, delimita la Concessione francese. Al di là, un buco nero, e, si direbbe , tutta la Cina desta nell' ombra e che aspetta la sua ora.
Incendi spasmodici della pubblicità. I grattacieli in fiamme, i giardini pensili del Plaza, del Majestic, del Carlton, i più grandi alberghi e bordelli di Shanghai appartengono ai Padri spagnoli. Su quei tetti di lusso ballano le mogli degli ufficiali inglesi di Wei-Hai-Wei, dei giudici della Commissione mista e dei russi rifugiati. Ingresso tragico di un «numero» di music-hall, sei donne: tre in veste di fantino giallo e tre di cavallo rosa. Cosa sono le epidemie asiatiche in confronto a questi veleni occidentali?
Mi portano al Grand Monde. Un'auto, guidata da un autista stravolto dall' oppio, con lunghi capelli neri scarmigliati dalla velocità, si sforza di sorpassare le auto di inglesi che sono già al whisky & soda numero 35. La nostra corsa a spirale è rettificata dai poliziotti indù, dritti agli incroci.
Il Grand Monde è un caravanserraglio notturno, una sorta di Magic-City, di Coney Island per cinesi: testa blu per i capelli rasati in ricrescita, o in panama, il ventaglio o la gabbia del canarino in mano, si fermano, sollecitati da tutti i divertimenti, dalla roulette dove i coolie vincono pacchetti di sigarette fino alle lotterie automatizzate: da uno scivolo nichelato e traforato si vedono scendere le palline d'avorio; in fondo, passano da un rubinetto e si riversano sul tabellone. Ci sono molti ristoranti e molti teatri. Su ogni poltrona della sale da spettacolo, un giornale e tre mele aspettano lo spettatore. Qui, un dramma eroico con squilli di piatti, vocalizzi rochi di ventriloquo, e i principi manciù con barbone nere, costumi rossi e blu, fanfare ricamate. Là, un' opera buffa dove una vecchia e una giovane con il viso imbrattato di bianco gareggiano in spiritosaggini.


La messinscena ricorda quella dell' epoca di Shakespeare, ancor più essenziale: laddove, per annunciare un cavaliere, gli elisabettiani caracollavano su un una testa di cavallo di legno legata in vita, i cinesi entrano soltanto con un frustino. Se un attore arriva da fuori, alza il piede per indicare che varca un'invisibile porta. Il brano stesso è soltanto una melensa storia fiabesca con fini edificanti; le lettere cinesi hanno dato soltanto prova di disprezzo per la produzione teatrale del loro Paese, abbandonata al linguaggio volgare, e in essa si cercherebbe invano l'equivalente di quei nô più tardi ma che sono l'essenza della cavalleria letteraria nipponica. Quanto al frastuono prodotto dall' orchestra, accompagnamento stridente e discordante dell' azione, è, secondo le ricerche più recenti, d'importazione mongola e ha preso il posto di una musica propriamente cinese, melodiosa e soave, che le orecchie hanno tutto il diritto di rimpiangere.
Degli intossicati color giada verdastra si aggirano intorno a materiali da fumeria. Studenti fanno politica; invertiti truccati, i «cognatini »; prostitute deliziose, «i fiori », i famosi fiori di Shanghai, i capelli laccati con olio di cocco, una camelia sulla nuca, l'occhio appena marcato all' angolo del naso piatto divoratrici di ricchezze, succhiatrici di dollari messicani, passano in risciò e s'inoltrano in strade ornate di cartelloni verticali, laccati di rosso o nero, con caratteri d'oro, come tra i fogli di un grande libro aperto e ritto.

Polizia internazionale, Concessione internazionale, poi d'un tratto i policeman indù lasciano il posto ai fucilieri annamiti; è la Concessione francese. Poi, la città cinese. Inattività, per strada, dei mah-jong, perché già l'America non ci gioca più. Nessun europeo nei paraggi, dove in questo momento vi guardano. con occhio privo di benevolenza. Gli uomini, a torso nudo, di un rosso d'anatra laccata, fasciati in quei calzoni di seta lustra nera di un taglio mirabile, che sostituiscono la sottana a mano. a mano. che si va verso sud.
Nei rigagnoli, sguazzano. bambini che portano. un collare per ingannare i demoni e far lora credere che abbiano davanti dei cani. Rumori cinesi, gridi rauchi, dispute isteriche, ingiurie nate dal fondo della gola; contrasto con le strade giapponesi così deserte, così calme. Venditori di seta. Le pezze di seta ordinate per colori a sfumare, come quelli delle scatale di pastelli. Mirabili sete, sconosciute in Europa, spesse, resistenti come tela, infinitamente durevoli, ornate di motivi geometrici, di lettere, di cartigli. Pongé, crespi, rinuncio difficilmente a decantarvele meglio..
Taverne oscure, dove i busti d'ambra pallida dei cuochi e degli habitué abbruttiti e fosforescenti si stagliano. su uno sfonda di fuliggine, un fuoca di forgia e dei paioli dave sembra che cuociano bambini, pentole piene di colture biologiche in decomposizione.
Ecco. la fine della Concessione. Le scuole americane a sinistra. Davanti a noi, fossati con filo spinato. Pochi mesi fa, qui c'era lo stato di guerra. Dietro quei bambù azzurri comincia la Cina dell'interno dave soltanto ieri i bianchi erano padroni e dove forse non torneranno più.

Dal libro Nient’altro che la terra – Viaggio intorno al mondo
Traduzione di Francesco Bruno
Editrice Corbaccio

 Maria Musik - 13/06/2008 [ leggi altri commenti di Maria Musik » ]

Sono interdetta: ammaliata dal vorticoso/aggettivato raccontare, disgustata dalle immagini dell’oriente corrotto dall’occidente, invaghita del viaggio, ovunque esso conduca.
Strano coacervo di desiderio e nausea.

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